La BRI sullo sfondo della guerra dei dazi Cina-USA


Proseguono a Washington le trattative tra il Governo Americano e quello Cinese sulle relazioni commerciali dei due paesi. Dopo l’escalation di dazi, 25% verso $ 125 miliardi di importazioni cinesi, decisi di recente da Donald Trump, sta ai diplomatici dei due paesi cercare di appianare le differenze. L’ostilità di Trump verso Pechino che, va ricordato, possiede un’ampia fetta del debito pubblico americano, è nota ed è stata sbandierata più volte in campagna elettorale. Il desiderio del POTUS di proteggere le industrie pesanti della Rust Belt, in cui l’elettorato lo ha premiato, combacia con la necessità di fare scudo alla concorrenza cinese, che già molti problemi ha creato agli alleati europei.

La decisione di Trump di imporre nuovi dazi è arrivata all’improvviso, dopo quasi un anno di relativa tregua e quando le trattative sembravano volgere al meglio.

Secondo la maggior parte degli analisti lo strappo fa parte dello stile negoziale di Trump, che dopo anni di conduzione del talent show “The Apprentice” si ritiene il migliore negoziatore di tutti i tempi e non ne ha mai fatto mistero. Alzare la tensione ha portato buoni risultati, almeno in un primo periodo, durante i negoziati sul nucleare con la Corea del Nord. La Cina, però, è ben altro attore a livello internazionale rispetto a Pyongyang. Di ritorno a Pechino dopo l’ultima sessione di trattative, il vice-premier cinese Liu He ha detto che “ogni paese ha dei principi importanti e su questi principi non possiamo fare alcuna concessione”. Il tutto mentre Robert Lightizer, negoziatore americano, si prepara a imporre ulteriori dazi su importazioni cinesi per un valore di $ 300 miliardi. Pechino ha deciso di rispondere con ulteriori tariffe del 10-25% su 5000 prodotti americani, da agroalimentare a chimica, per un valore di $ 60 miliardi.

Le parti si sono date appuntamento a Pechino, ma la tensione resta alta e un eventuale peggioramento delle relazioni commerciali potrebbe avere effetti gravi sulle tasche dei consumatori e sulle economie dei due paesi. Sullo sfondo di questa rivalità, la Belt and Road Initiative. Washington non ha mai fatto mistero della propria ostilità verso il progetto, con dichiarazioni scettiche da parte del Vice-Presidente Mike Pence, del Segretario di Stato Mike Pompeo e del responsabile della sicurezza nazionale John Bolton. Gli Stati Uniti vedono, probabilmente a ragione, negli investimenti cinesi in infrastrutture a livello globale, un chiaro tentativo da parte di Pechino di sottrarre intere nazioni dalla sfera di influenza degli States.

Con il sorgere di un ordine globale sempre più multipolare e l’emergere di populismi nelle nazioni occidentali, è facile per la Cina fare breccia nell’insoddisfazione di governi che faticano a trovare fondi per progetti infrastrutturali di ampio respiro. Pechino fornisce i finanziamenti e manodopera a basso costo, permettendo a nazioni spesso in difficoltà economica di potersi rilanciare e aumentare il proprio volume di scambi. La Casa Bianca, però, non è entusiasta di vedersi sfilare la propria influenza costruita con anni di investimenti diretti e offerte di protezione sotto l’ombrello NATO a paesi Europei e di altre regioni. Anche questa è una chiave di lettura di questa insensata guerra commerciale.


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